L’allenatore è un uomo solo. Quest’anno la massima che fu di Arrigo Sacchi, è tornata davvero di moda.
Ha rischiato perfino Sarri quest’anno, solo per aver detto una sacrosanta verità: la rosa della Lazio non può supportare la doppia competizione.
Guarda caso, una volta uscita dalla Conference League, i biancocelesti hanno cominciato a correre, nonostante i cinque infortuni con incidente stradale choc annesso, per Ciro Immobile. Eppure #Sarriout è stato un hashtag di tendenza sui socil quest’anno, quasi quanto il #sarriball dell’ultimo periodo.
Alla Juve Max Allegri convive da inizio stagione con una insanabile e insostenibile voglia dei tifosi di non vederlo più sulla panchina bianconera, senza dimenticare che il vero Chiesa non l’ha mai avuto, il vero Pogba (ammesso che ci sia ancora) nemmeno, senza contare le lungodegenze di Di Maria e Bonucci e Milik.
Nella prima parte di campionato, nell’era ante Mondiale in Qatar, Allegri aveva più giocatori fuori (undici) che dentro. Ma quando non vengono i risultati, la colpa storicamente è sempre di quell’uomo solo.
Più in generale in questa stagione la Serie A ha vissuto e convissuto con sette avvicendamenti. Il primo è stato drammatico, in tutti i sensi: a settembre Thiago Motta ha ereditato la panchina del compianto Sinisa Mihajlovic, volato in cielo tre mesi dopo.
Sei giornate, questo il lasso di tempo nel quale Giovanni Stroppa ha guidato il Monza. Un punto, inevitabile il cambio: è arrivato Palladino e sappiamo tutti è andata a finire. A ottobre saltano Giampaolo alla Samp (sostituito da Stankovic) e Cioffi al Verona (cambiato con il suo Zaffaroni-Bocchetti). A gennaio divorzio fra Alvini e la Cremonese (ora c’è Ballardini) Nicola e la Salernitana (affidata a Paulo Sousa) a febbraio è il turno di Gotti lasciare uno Spezia che ripiega su Semplici. Potrebbe non essere finita qui.
Chi sta sul filo del rasoio è Simone Inzaghi. Un finale di stagione da inferno e paradiso. Zhang avrebbe già allertato Cristian Chivu, allenatore dell’Inter Primavera. Troppe le partite perse in campionato, addirittura 11. Troppi i punti di ritardo dal Napoli capolista, addirittura 24. Un distacco che cozza con la squadra che ha a disposizione l’allenatore piacentino, che rischia, paradosso dei paradossi, con una Supercoppa vinta, una semi di Coppa Italia e un super cammino in Champions.
Gestione opinabile dell’affare Dybala (Inzaghi gli ha preferito Correa), gestione del parco attaccanti nerazzurri che fa discutere con quelle rotazioni quasi matematiche senza una leadership ben definita. Volendo anche una certa anarchia su chi batte i calci di rigore, in pratica scelgono a caso Lautaro Martinez e Lukaku, quando c’è chi ne sbaglia tanti di penalty e chi mai. Tant’è. Simone Inzaghi è un allenatore solo, e non può far altro che vincere, per non essere esonerato prima del tempo.